domenica 23 ottobre 2011

NESSUN UOMO E' MIO FRATELLO

Il romanzo è ambientato in un un luogo e in un tempo imprecisato; diversi indizi suggeriscono però un'ambientazione nel sud est asiatico in un'epoca grosso modo contemporanea alla nostra. Lo scenario dipinto ritrae infatti la tipica società di un paese in via di sviluppo, megalopoli moderne circondate da campagne culturalmente arretrate dove il ritmo della vita procede ancora al passo della natura e seguendo le tradizioni di sempre.
L'elemento fantascientifico introdotto in questo scenario è uno solo ma comporta una vasta gamma di conseguenze: ogni uomo o donna nasce Vittima o Carnefice. Ad ogni carnefice il destino associata una vittima e la legge gli permette di ucciderla impunemente. All'inizio dell'adolescenza una V oppure una C compaiono sul corpo di ogni persona, permettendo di identificarne la natura, con un minuscolo neo o un segno ben marcato sul viso o, in rari casi, attraverso la forma di alcuni organi interni. Non viene fornita nessuna spiegazione sull'origine del segno esistenziale: potrebbe essere connaturato alla gente del luogo o il prodotto di qualche mutazione genetica, forse addirittura la conseguenza di un virus o di una manipolazione artificiale...
Ad ogni modo, tutti cercano di nascondere la propria natura celando il segno esistenziale con appositi cosmetici ma ogni vittima è in costante allerta, perchè sa di essere braccata in ogni momento... La condizione esistenziale di vittima pone la persona in una condizione di inferiorità, quella V posta da qualche parta sul proprio corpo è un marchio di vergogna che ne macchia l'esistenza e che deve essere celato in ogni modo, dissimulando magari la propria natura con un atteggiamento arrogante, aggressivo tale quale ci si può aspettare da un carnefice.
Il protagonista del romanzo è un giovane contadino, Enki Tath Minh. Reca su di sè la V che lo identifica come Vittima ma rifiuta le convenzioni sociali e prova un odio profondo verso i suoi simili che come animali al macello accettano i soprusi, le ingiustizie che si commettono ai loro danni. La sua lotta è la prosecuzione, anzi se vogliamo la naturale evoluzione, delle battaglie sociali e politiche condotte in passato dai suoi stessi genitori (i cui vaghi accenni ricordano in parte le lotte di movimenti contadini e operai come li conosciamo). Enki trascorre l'infanzia e l'adolescenza lavorando insieme a suo padre in una risaia, non ricordando praticamente nulla della propria madre. Il ritrovamento di alcuni oggetti posseduti dalla donna dà il via ad un escalation di conflittualità e violenza tra Enki e il padre che, complice la sua natura di carnefice, diviene il simbolo della natura feroce, bestiale, delle ingiustizie che Enki e le altre vittime devono sopportare e contro le quali il ragazzo vuole combattere. Enki rovescia la prospettiva comune, compiacendosi al tempo stesso sia della sua natura di vittima, la cui purezza viene associata alla madre in contrapposizione alla malvagia natura del carnefice paterno che, irrazionalmente, ha sempre incolpato della morte della donna, che del suo ruolo messianico, da liberatore.
Il romanzo è scritto con uno stile di altissimo livello. L'autrice ha pieno successo nel trasportare il lettore nella società contadina in cui la vicenda inizialmente si snoda, introducendo poco a poco le caratteristiche e le conseguenze sociali e psicologiche del segno esistenziale. La prosa è scorrevole, il vocabolario ricco, la narrazione fluente. I personaggi sono resi con maestria, le tinte quasi sadiche con cui sono dipinti alcuni (il padre di Enki primo fra tutti) ricordano la grottesca malvagità di Dickens. La trama è semplice, lontana dai complicati intrecci che si è abituati a vedere in altri tipi di fantascienza; le scene e gli episodi descritti proseguono ad un ritmo sempre più veloce e incalzante al progredire della vicenda, conducendo il lettore verso un finale avvincente e inaspettato.
Il mondo descritto dall'autrice è a tinte fosche, la dicotomia vittime / carnefici allude chiaramente allo stato in cui si trova a società reale, corrosa e distrutta da una conflittualità sempre più diffusa, da un egoismo che cancella ogni legame con la comunità. Tutti noi ci sentiamo vittime, sempre all'erta, impauriti dal possibile arrivo del nostro carnefice. Ma, come il finale chiarirà, c'è ancora una speranza: il destino non è immutabile ed è possibile lottare per modificare le cose. Enki lo ha dimostrato: nostra e solo nostra è la scelta di come vivere ogni giorno della nostra vita.
In conclusione, una lettura assolutamente consigliata e che rimarrà impressa in ogni lettore, forse non tanto per i contenuti, buoni sì ma non eccezionali, quanto per l'atmosfera e i toni con cui sono stati resi.

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